SCUOLA IN CARCERE
- Marco Bazzoli
- 11 giu
- Tempo di lettura: 3 min

di Sabrina
La scuola carceraria è inserita di fatto in un CPIA (centro provinciale istruzione degli adulti) ed è presente in tutti gli Istituti di Pena e negli IPM.
Nell’articolo 27 della Costituzione Italiana c’è scritto che chi commette un reato deve essere rieducato attraverso il lavoro, la scuola e i percorsi psicologici per poter poi essere reinserito nella società. Rispetto ai tempi prima della riforma penitenziaria, adesso il detenuto segue un percorso personale, questo per evitare che rimanga sdraiato o senza fare nulla per tutto il giorno, ma anche e soprattutto per offrirgli la possibilità di cambiare vita, di poter scegliere.
Ho iniziato ad insegnare in carcere nel 2009 e nonostante tutti questi anni non ci si abitua mai, né all’odore che aggredisce le narici quando entri, né al rumore dei cancelli che sbattono e delle chiavi che ciondolano tintinnando appese alle tasche delle divise degli agenti di polizia penitenziaria. Anche quando nei mesi estivi o durante i periodi di vacanza rimango fuori da quel luogo l’odore resta nella testa e se a occhi bendati mi ci portassero dentro, lo riconoscerei. E’ un odore che non senti da nessun’altra parte, è odore di chiuso, di sigarette, di cibo, di bagnoschiuma, di vita quotidiana.
Si attacca addosso, ai capelli, ai vestiti, ai ricordi.
Con gli anni ho poi imparato che il ruolo di noi docenti, essendo all’interno della sezione nel vero senso della parola, è anche quello di rassicurare i nuovi giunti, dar loro dei consigli utili su come affrontare la nuova vita. Nel momento in cui si è privati della libertà la paura più grande è quella di perdere i contatti con il mondo esterno, con quello degli affetti, quello della famiglia. Inizialmente non si può telefonare, non si può fare colloqui e allora la voce amica, l’unica su cui contare diventa quella dell’avvocato. La garanzia della difesa, ma anche l’unico ponte tra il dentro e il fuori. Subito dopo arriviamo noi, le prime persone che incontrano, provenienti dal mondo fuori.
La scuola occupa un ruolo importante nel percorso di rieducazione del detenuto, insieme al lavoro e ad attività di tipo psicologico che accompagnano il suo cammino verso la libertà. In tutti questi anni di lavoro all’interno della casa circondariale mi sono resa conto di quanto la scrittura sia importante, la scrittura rallenta il pensiero e aiuta a riflettere. I miei studenti hanno molto da dire! E il desiderio che si possano confrontare con compagni di classe esterni mi ha portata a presentare l’idea, piacevolmente accolta da tutte le istituzioni coinvolte, di accompagnarli “dentro”, per offrire loro un’occasione di crescita personale e di abbattimento di ogni forma di pregiudizio, perché “le pagine sono l’anfratto dal quale si esce dall’ospedale, dalla prigione, dalla segregazione cui è condannato chiunque soffra, ma non si accontenti, non voglia assopirsi e negarsi.” (D. Demetrio 2008)
Così è nato il progetto “Voci di dentro, voci di fuori” che vede una buona collaborazione con le scuole esterne che periodicamente entrano per confrontarsi con i detenuti su temi importanti e condivisibili.
Il compito che ritengo fondamentale è quello di essere riuscita a portare l’insegnamento oltre le misure restrittive e le sbarre della struttura, stimolando la fantasia e la voglia di emergere dei miei studenti con iniziative non comuni e coraggiose, forse talvolta anche
tanto, ma che per fortuna e per bravura si sono sempre rivelate positive ed utili.
Si tratta di anni di costruttive sinergie che hanno contribuito, nel rispetto dei singoli ruoli istituzionali, al raggiungimento di uno dei punti previsti dalla nostra Costituzione: la rieducazione e il reinserimento di chi ha commesso errori.
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