IL CORAGGIO DI UCCIDERE
- Marco Bazzoli
- 12 giu
- Tempo di lettura: 2 min

di @MarcoBazz92
Praticamente tutti i giorni ci giungono notizie riguardanti uccisioni di persone; mariti che uccidono moglie, uomini che uccidono altri uomini, genitori che uccidono figli. Una carneficina quotidiana.
Partendo dal presupposto che è pura utopia credere in un mondo dove tutti siano felici e si vogliano bene, ogni volta che leggo o sento di un omicidio mi vien da fare questa riflessione: dove una persona trova il “coraggio” di mettere fine, volontariamente, alla vita di un’altra persona? Perché può apparire brutto da dire ma ci vuole coraggio a mettersi di fronte ad un essere umano, magari guardarlo negli occhi e poi sparargli, ficcargli una lama nelle membra, colpirlo con un oggetto contundente. Attenzione, io non sto cercando una scusante per chi commette un omicidio, sto solo provando a capire come queste persone riescono a compiere un atto così doloroso, così macabro.
Mi vengono in mente due grandi tipologie di persone che uccidono, quelli che lo fanno in modo “indiretto” e quelli che lo fanno in modo “diretto” . La seconda, i “diretti”, sono quelli che uccidono una persona di loro spontanea volontà; quelli che uccidono la moglie perché pensano di essere traditi, quelli che entrano in un negozio e sparano al gestore per rapinarlo, quelli che uccidono il vicino di casa per uno sgarbo. Un attimo, una decisone presa al volo, pianificata o meno, diretta verso una persona che si conosce da una vita o che non si è mai vista, un momento di incoscienza, tutto si ferma, ci si pensa, si prende “coraggio” e la persona che si ha di fronte cessa di vivere, tu cessi di vivere.
Ci sono poi gli “indiretti”, quelli che uccidono su” ordinazione”. Qui ci metterei i killer di mafia, chi uccide per motivi religiosi (crociate nel passato, Allah akbar ai giorni nostri). Queste persone uccidono indiscriminatamente, esiste solo un capo, un Dio, una persona più potente di loro che ordina quello che devono fare. Loro agiscono; donna, uomo, bambino è indifferente. Sembra che la loro dose di “coraggio” sia infinita (Giovanni Brusca ha testimoniato di aver ucciso più di cento persone), rispondo solo al loro padrone.
In comune queste due categorie hanno il fatto che sembra non pensino al gesto che compiono, sembra una cosa del tutto naturale, un azione normalissima. C’è chi per tutta la vita non dà alcun peso a queste azioni, c’è chi ad un certo punto sembra ravvedersi, ripensare a quello che ha fatto, forse pentirsi o almeno riflettere sul fatto di aver tolto la vita ad una persona.
In fondo anche chi ha ucciso rimane una persona, rimane un assassino.
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