UN TWEET
- Marco Bazzoli
- 4 set
- Tempo di lettura: 1 min

di @MarcoBazz92
“Ci sono prigioni che non hanno sbarre, luoghi della mente nei quali si rimane bloccati per un ingranaggio inceppato, posti dai quali nessuno torna per raccontare come siano: sono le malattie mentali, quelle che hanno sempre fatto paura, perché spaventa tutto ciò che non si conosce.”
Lo so che i tweet, anzi gli ex-tweet, ma gli X suona male, quindi teniamo i tweet. Dicevamo, lo so che i pensieri espressi sui social sono come un colpo di pistola, durano il tempo di raggiungere l’obiettivo. Certo, per tutto quello che c’è attorno è assai probabile che sia così, ma vagliela a spiegare all’obiettivo che si trova un proiettile ficcato in corpo.
Leggo la frase sopracitata due giorni fa, l’ha scritta Sabrina (il nome in codice non ve lo dico), che ha quel bruttissimo vizio di mette in fila parole che fanno macinare le rotelle del cervello e pompare il cuore a mille. Capita. Però Sabrina ricordati che le persone son sensibili.
Viviamo di impulsi, di sentimenti, “al cuor non si comanda”. Finché nella testa una vocina inizia a parlarti, inizia a suggerirti. Tu la segui, però ti accorgi che attorno a te inizia a crearsi dello spazio, le persone si staccano. Diventi invisibile. In un attimo ti ritrovi in una prigione, innocente e nessuno o pochi che ti difenda. Condannato senza processo.
E tu ti guardi attorno, un sorriso beffardo: “pazzi, non vedete il male che state facendo?”.
La parola ne uccide più che la spada… e l’ignoranza dilaga.